Nella lobby dell'hotel dei sogni
Nell’hotel dei sogni Portia è libera: il suo talento le permette di comporre melodie sublimi e Alby Porter, il suo musicista preferito, comunica con lei dall’aldilà attraverso note di canzoni e stralci di lettere. Le basta chiudere gli occhi per ritrovarsi racchiusa in un enorme cuore umano e percorrerne gli atrii e le arterie, al riparo da qualunque imprevisto o spiacevolezza. Suona in una band, i Poor Alice, che ha un discreto seguito e il cui batterista la adora. I due amanti si danno appuntamento in collina ad aspettare albe e tramonti che non finiscono mai.
Appena fuori dalla lobby, però, Portia è un’ex paziente psichiatrica con due degenze alle spalle e una sindrome bipolare cronica da tenere sotto controllo. Suo marito, un procuratore, ne indaga i comportamenti come dovesse giustificare un capo d’accusa: sospetta che Portia abbia smesso di prendere gli psicofarmaci che ne troncavano la creatività artistica ma le consentivano di rimanere nella realtà; una realtà magari per lei deludente, ma in cui gli amici, il marito, il figlioletto Julian, le vogliono bene e hanno bisogno di lei.
Tra rimandi al passato e bagliori onirici prende forma un romanzo ricco di nicchie oscure, in cui una donna e il suo desiderio di libertà si scontrano con le responsabilità familiari e con la preoccupazione di un padre per un bambino che vede negletto e ignorato, se non addirittura in pericolo, per via dei comportamenti della madre smarrita in un coloratissimo sogno il cui contrappasso potrebbe essere crudele.
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