consigli di lettura

Un'educazione letteraria (e musicale): Francesco "Kento" Carlo

In questa rubrica i nostri autori e le nostre autrici raccontano i libri che hanno contribuito a formare il loro immaginario: il protagonista di questa puntata è Francesco "Kento" Carlo, in libreria con Barre. Rap, sogni e segreti in un carcere minorile.


La cosa bella di dover scegliere tre libri che hanno segnato la mia formazione è che – visto che sono stati così tanti più di tre a influenzarmi – se tra qualche settimana mi chiedeste la stessa cosa, vi potrei rispondere con tre titoli completamente diversi. E la cosa bella dell’essere uno che scrive canzoni oltre che libri è che mi prendo, di mia iniziativa, lo spazio per parlarvi anche di tre dischi per me altrettanto fondamentali.


Gianni Rodari – Grammatica della Fantasia

Dopo aver letto la Grammatica della Fantasia, l’arte del raccontare diventa più facile, più naturale, più istintiva. È come se Rodari ti spiegasse quello che sai già ma non sai di sapere sul mondo della scrittura. Dovrebbe essere contenuto obbligatorio di qualsiasi esame ed esercizio per chi vuole fare questo lavoro e, in generale, per chi vuole imparare ad esprimersi con la penna. Contiene la spiegazione più bella di come il narratore debba essere al servizio della fantasia del lettore, e del giovane lettore in particolare. È la storia del nonno di Lenin, che vide i suoi nipotini giocare e si accorse che entravano e uscivano di casa dalla finestra anziché usare la porta. Piuttosto che vietarglielo, il nonno mise una panca sotto la finestra in modo che potessero continuare a giocare come volevano, nel modo più facile e sicuro. Scrivendo, dobbiamo aiutare chi ci legge a entrare e ad uscire dalla realtà dalla finestra anziché dalla porta. “È più divertente – dice Rodari – dunque è più utile”. 


Cesare Pavese – Il Carcere

Ambientato nei luoghi dove, qualche decennio dopo, sarebbe cresciuta mia madre, Il Carcere è uno di quei libri la cui brevità e densità ti costringe a rileggerlo. Francamente mi è difficile immaginare un testo che mi possa colpire quanto questo. Le tematiche di Pavese e la sua tecnica straordinaria si poggiano su alcuni dei panorami che mi sono più cari al mondo e, soprattutto, sulla consapevolezza che a un certo punto arriva a chiunque sia cresciuto in riva al mare: quella che anche l’immensità blu può essere la quarta parete della propria prigione. Il giorno in cui scriverò un romanzo, nelle sue pagine ci sarà in qualche modo anche Pavese esule a Brancaleone.


Iceberg Slim – Il Pappa (Pimp)

Pietra miliare dello storytelling afroamericano e di buona parte di quello contemporaneo. Papà del gangsta rap: basti pensare a quanti rapper hanno messo “Ice” nel proprio nome prendendo appunto Iceberg Slim ad ispirazione. Carico di tremenda violenza e sessismo inaccettabile, riscattato solo parzialmente dalla successiva “conversione” dell’autore, Pimp contiene nelle sue pagine tutto quello che bisogna sapere sulla vita di strada nelle periferie delle metropoli statunitensi del secolo scorso, raccontato in maniera oggettivamente fantastica. Impossibile smettere di leggerlo una volta che si è cominciato. Uno spaventoso blues urbano in cui il più cattivo mangia il più indifeso. Non si può capire Tupac o Gil Scott-Heron senza aver letto Iceberg Slim.


Nas – Illmatic

Non si può credere che Nas fosse solo un adolescente quando ha scritto Illmatic, eppure le date sono lì a provarlo. Un filo teso tra vita di strada e poesia, un esordio clamoroso e, probabilmente, mai eguagliato da nessuno dai successivi dischi del rapper del Queensbridge. Uno di quei lavori di cui non sai scegliere la traccia più bella perché ce ne sono tre o quattro che ti fanno ancora paura per quanto sono perfette. Da piccolo, lo mettevo in cuffia e immediatamente la realtà intorno a me diventava il videoclip della canzone che stavo ascoltando. Ci ho riprovato qualche mese fa, e mi fa lo stesso effetto.


Dj Gruff – La Rapadopa

Per me La Rapadopa è probabilmente ancora più seminale di SXM perché più ricco, più carico di contenuti, idee, suggestioni, novità. Addirittura 26 tracce, con le quali oggi mi sa che si farebbero tranquillamente tre dischi abbondanti. Ma erano tempi differenti, e l’aria in quegli anni a Bologna era caldissima. Alcuni dei rapper più forti della scena, ma anche musicisti, dj e cantanti che avrebbero fatto la storia della musica indipendente (e non solo) negli anni a venire. Iniziava la golden age del rap italiano, e probabilmente non tutti lo stavano capendo. (Io, sbarbatello, no di sicuro.) Iniziava con un disco che, probabilmente, travalicava già quelli che ne sarebbero diventati i confini, tanto è vero che è invecchiato benissimo. Oggi lo ascolto poco ma lo ascolto bene, ogni volta con l’attenzione che merita.


Africa Unite – Babilionia e Poesia

Il quarto disco degli Africa Unite è in realtà il loro primo che ascoltai, ed è legato al bellissimo ricordo personale del mio – ingenuo ed infantile – esordio su un palco, proprio in apertura a un concerto degli Africa nella mia Reggio Calabria. Ai tempi, credeteci o no, si dibatteva sulla questione se si potesse fare rap e reggae in italiano, e Babilonia e Poesia diede una svolta fondamentale a questo dibattito. Grazie ai testi scritti nella nostra lingua, e grazie alle contaminazioni con i suoni mediterranei e la world music, il disco fu immediatamente scomunicato dai puristi del genere. Fortunatamente io continuai ad ascoltarlo, e quella sera di fine estate su un palco di Reggio Calabria ha finito per cambiarmi la vita.

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