dietro le quinte

Squadernare: Nina sull'argine

1. Libri dentro ai libri

Squadernare è la voglia di curiosare nei libri. Cosa si muove dietro, dentro e intorno ai libri? 

Lo abbiamo chiesto a Veronica Galletta in libreria con Nina sull'argine.



Libri dentro al libro, per questa prima parte di Squadernare, e più precisamente quelli citati esplicitamente in Nina sull’argine. Per ognuno ho scelto un brano, dibattendomi nella rete dei non scelti, i trascurati, gli scartati. Il passo è stato scelto con un non criterio, semplicemente a sentimento. Di alcuni libri si comprende bene la connessione con Nina sull’argine: si tratta infatti di affinità di argomenti o tema, per altri invece la connessione è più sottile. Altri ancora, infine, sono là per motivi puramente storico sentimentali: riguardano un periodo, un’emozione, un sentimento che avevo in mente mentre scrivevo Nina sull’argine. Un po’ come certi libri da borsa, che ti porti dietro quando esci, dal medico, sul treno, pur sapendo che magari non li leggerai, non avrai tempo né concentrazione. Vengono con te in ogni caso, anche solo per farti compagnia. In fondo, quale destinazione più nobile.

 

Memoriale, Paolo Volponi, ed. Einaudi

Ad un certo punto m’accorsi che il pezzo cambiando sotto le frese, un attimo prima d’essere finito, assumeva il colore opaco del lago di Candia. Questa fu una grossa rivelazione tanto che da allora per molto tempo, anche se non per tutta la giornata, svolgevo il mio lavoro per arrivare ogni volta al punto in cui compariva il colore del lago; la frazione di lavoro successiva, necessaria per finire il pezzo, era diventata per me come l'ultimo tratto di una strada, diversa da quella vera, tra il lago e casa mia: di una strada diversa e più facile, dove sarebbe dovuto capitarmi qualcosa, la rivelazione, il segno del mio nuovo destino.

[…]

Sul letto, in quei giorni di pioggia, pensavo a cosa avrei potuto fare; ma non trovavo nessun mestiere adatto a me, soprattutto la mia nuova vita. L'acqua scendeva davanti alla finestra ed io la guardavo sferzare il lago con violenza e finivo sempre per distrarmi dai miei pensieri. Il lago cresceva a vista d'occhio, proprio al centro, dove l'acqua si aggiungeva l'acqua, e poi si allargava penetrando le rive, sommergendo poco a poco le melme. Toccavo le mie spalle come da ragazzo durante la malattia e masticavo un sapore di me stesso, un filo della mia gioventù.

 

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La chiave a stella, Primo Levi, Einaudi

Sulla superficie del fiume spirava una brezza leggera che increspava l’acqua in onde minute, ma ad intervalli la direzione dell’aria si invertiva, ed allora sopravvenivano da terra soffi torridi odorosi di argille calcinate; simultaneamente sotto il pelo dell'acqua ritornata alla calma si distinguevano le fattezze confuse di case rustiche sommerse. Non erano eventi remoti, mi ha spiegato Faussone, non era stata una punizione divina, né quello un villaggio di peccatori. Era semplicemente l’effetto della diga gigantesca che si intravvedeva al di là del gomito del fiume, costruita sette anni prima, e a monte della quale si è ammassato un lago, anzi un mare, lungo cinquecento chilometri. Faussone ne era fiero come se la diga l'avesse tirata su lui, mentre invece ci aveva solo montato una gru.

da Il vino e l’acqua

[…]

Alla fine è arrivato il collaudatore. Era un ometto tutto nero, vestito di nero, sulla quarantina, con una spalla più alta dell'altra e una faccia da non aver digerito. Non sembrava neanche un russo: sembrava un gatto ramito, sì, uno di quei gatti che prendono il vizio di mangiar le lucertole, e allora non crescono, vengono malinconici, non si lustrano più il pelo, e invece di miagolare fanno hhhh.

da La coppia conica

 

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Italo Calvino, La speculazione edilizia, da Racconti, ed. Einaudi

Avvolta nel castello delle impalcature, come un mucchio confuso d'assi, corde, secchi, setacci, mattoni, impasti di sabbia e calce, la casa cresceva nell'autunno. Già sul giardino si abbatteva la sua ala d'ombra: il cielo alle finestre della villa era murato.

[…]

I lavori cominciarono in ritardo. A lavorare erano in due. Facevano lo scasso per le fondamenta. Erano due manovali; uno sottile, nero, maligno, sempre in calzoncini corti e torso nudo, un fazzoletto in capo come un pirata, ed era sempre a far niente, a fumare, a far lo scemo con le serve, riprendendo ogni tanto la palla lasciata lì infissa dritta nella terra, con un sospiro, dopo essersi sputato sulle palme; l'altro era un gigante, con il petto di un toro, con la testa dai capelli rossi e rapati che teneva bassa come uno che non vuole né sentirci né vederci, sebbene avesse un bel biondo viso giovane, dallo sguardo smarrito e furioso, e ci dava dentro a picconare o a spalare che pareva un bulldozer, e ai frizzi dell'altro rispondeva di rado, con brontolii cupi, quasi inarticolati.

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Henry James, Giro di vite, ed. Einaudi, trad. Fausta Cialente

Le cornacchie smisero di gracchiare nel cielo dorato, e l’ora amica smarrì per il momento tutta la sua voce. Ma nient’altro era mutato nella natura, a meno che non fosse per un mutamento che io vedevo con eccezionale chiarezza. L’oro stava ancora sospeso nel cielo, l’aria era limpida, e l’uomo che mi osservava da sopra i merli sembrava un ritratto nella sua cornice. Fu per questo che pensai, con una straordinaria rapidità, a tutte le persone che avrebbe potuto essere e non era.

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Michele Mari, La stiva e l’abisso, ed. Einaudi

Altre volte immagino invece di sdoppiarmi, di rimanere nel letto mentre un altro me stesso esce da quella porta, e va a vedere le cose con i suoi occhi per torna poi a riferirmele con pochi cenni essenziali (tra noi ci capiamo), oppure mi fingo un bel tubo d’ottone pieno di giunti e snodi, lunghissimo, sottilissimo, che partendo dalla testiera del mio letto e attraverso appositi fori passi in tutte le cabine del ponte, poi esca e discenda nelle stive e insomma frughi tutta la nave nelle sue viscere, con una bella lente al suo estremo e una serie di specchiettini agli snodi che rimandino le immagini fino a me, e retraibile, come il corno d’una lumaca.

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Mario Vargas Llosa, La zia Julia e lo scribacchino, ed. Einaudi trad. Angelo Morino

Era un individuo piccolino e minuto, ai limiti dell'uomo di bassa statura e del nano, con un naso grande e certi occhi straordinariamente vispi, in cui ribolliva qualcosa di eccessivo. Vestiva di nero, una giacca dall'aspetto molto usato, e la camicia e il cravattino a laccio erano pieni di pillacchere, ma, nello stesso tempo, il suo modo di indossare quegli abiti denotava qualcosa di attillato e di composto, come quei gentiluomini delle vecchie fotografie che sembrano imprigionati nelle loro finanziere inamidate, nei loro cilindri così corretti. […] Ci fece una riverenza cortigiana e con una solennità desueta come la sua persona si presentò così:

-Vengo a derubarmi di una macchina da scrivere, signori. Vi sarei riconoscente se mi aiutaste. Quale delle due è la migliore?

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D. Salinger, Franny e Zooey, ed. Einaudi traduz. Romano Carlo Cerrone e Ruggero Bianchi

-Sì, sì, mi ricordo… Per cortesia, non odiarmi solo perché lì per lì non mi ricordo di una persona. Specialmente se questa persona assomiglia a tutti gli altri e parla e veste e si comporta come tutti gli altri-. Franny s’interruppe. Si sentì petulante e insopportabile e per un attimo s’odio a tal punto che la sua fronte tornò a imperlarsi di sudore. Ma, suo malgrado, le parole continuarono a uscirle di bocca. –Non che lui abbia niente di terribile, o che so io, è solo che da quattro anni a questa parte incontro un Wally Campbello ovunque vado. […] Tacque. Scrollò il capo un istante e per una frazione di secondo si tastò la fronte con la mano: non tanto, parve, per vedere se era sudata, quanto per controllare (come se in quel momento non fosse lei, ma sua madre) se aveva la febbre. Era sbiancata. – Mi sento così strana, - disse. – Forse sto diventando matta. Forse lo sono già.

 

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Emily Dickinson, da Le stanze di alabastro, ed. Feltrinelli traduz. Nadia Campana

Dopo un grande dolore

viene un sentimento formale-

i nervi, siedono cerimoniosi come tombe-

il cuore irrigidito si chiede

se proprio lui ha sopportato,

e se fu ieri, o secoli fa.

I piedi-meccanici-

vagano su una strada legnosa

se di terra o di aria o niente-

ormai indifferenti.

Appagamento di quarzo, come pietra.

Questa è l’ora di piombo-

ricordata da chi sopravvive,

come gli assiderati ricordano la neve:

prima il gelo, poi lo stupore –

poi l’abbandono.

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Kostantinos Kavafis, da Settantacinque poesie, ed. Einaudi (trad. Nelo Risi, Margherita Dalmàti)

E se non puoi la vita che desideri

cerca almeno questo,

per quanto sta in te: non sciuparla

nel troppo commercio con la gente

con troppe parole in un viavai frenetico.

 

Non sciuparla portandola in giro

in balìa del quotidiano

gioco balordo degli incontri

e degli inviti,

fino a farne una stucchevole estranea.

 

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Gabriel Garcia Marquez, Cent’anni di solitudine, ed. Oscar Mondadori trad. Ilide Carmignani

Molti anni dopo, davanti al plotone d’esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa avrebbe ricordato quel pomeriggio remoto in cui suo padre lo aveva portato a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora solo un villaggio di venti case di fango e canne costruite sulla riva di un fiume dalle acque diafane che si precipitavano su un letto di pietre lisce, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente che molte cose erano senza nome, e per menzionarle bisognava indicarle con il dito.

 

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Gianni Rodari, La cicala e la formica, da Filastrocche in cielo e in terra, ed. Einaudi

Chiedo scusa alla favola antica

se non mi piace l’avara formica.

Io sto dalla parte della cicala

che il più bel canto non vende, regala.




Le altre puntate di Squadernare: 2 e 3

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