Squadernare: Il Tullio e l'eolao più stranissimo di tutto il Canton Ticino
I libri dietro al libro
Squadernare è la voglia di curiosare nei libri. Cosa si muove dietro, dentro e intorno ai libri?
Lo abbiamo chiesto a Davide Rigiani in libreria con Il Tullio e l'eolao più stranissimo di tutto il Canton Ticino.
L'eolao è uno strano animale che trotta, striscia, rotola e galoppa sul crinale tra la letteratura per adulti e quella per ragazzi. È un sentiero stretto, ma il panorama merita.
Per come me la racconto io, se l'immaginazione degli adulti e quella dei ragazzi sono due posti diversi è perché diverso è il bagaglio di conoscenze: più si conoscono le cose, più è difficile pensarle fatte in un altro modo. Mentre scrivevo l'Eolao però cercavo un terreno che fosse comune, perché questo romanzo io lo volevo costruire lì.
Io, mi si rinfaccia spesso, a quarantadue anni suonati sarei un adulto. Potrebbe essere mia moglie quella che me lo rinfaccia, ma adesso questo non è che c'entri. A un certo punto ho capito che tra i miei simili, questi adulti appunto, ci sono molti lettori che, pur spaziando con cognizione tra Tolstoj, Carver, Carrère, Wallace, Flaubert e ogni sorta di letteratura considerata seria, leggono anche romanzi che il mercato classifica per ragazzi. E non per darli poi da leggere a figli o nipoti, ma per sé stessi.
Sia detto per inciso, sospetto anche che questi lettori appartengano a un'invidiabile confraternita di persone felici di nascosto, e quando scoprirò il giusto portone sul retro a cui bussare, la parola d'ordine, la stretta di mano segreta, niente più mi impedirà di entrare a farne parte. Ma anche questo è un discorso che esula.
Già che siamo arrivati fin qui, prendiamo Harry Potter dallo scaffale. Harry Potter è letto da moltissimi adulti. Quando si arriva al binario nove e tre quarti, alla burrobirra, o a Nick-Quasi-Senza-Testa, questi adulti pensano che cosa sciocca, e ridono. I bambini pensano che cosa incredibile, e si stupiscono. Io, dal canto mio, ho pensato eccolo, il mio crinale. Potrebbe essere questa linea tra la risata e lo stupore.
Si tratta evidentemente di un criterio approssimativo a cui accompagnare di volta in volta molti accorgimenti, ma era un punto di partenza. È chiaro che esistono cose che fanno ridere gli adulti ma non sono adatte ai bambini. È chiaro che esistono cose che stupiscono i bambini e annoiano gli adulti. Onde evitare dunque di rotolare giù da uno dei due versanti e sfracellarsi contro il primo castagno, è bene prendere a riferimento elementi del paesaggio, vale a dire libri bellissimi che appartengono alla regione dello stupore o a quello della risata. O a tutte e due. Equidistante da questi punti fissi è il sentiero.
L'umorismo è una cosa umana, e dunque una cosa d'irrisolvibile complicatezza. Tant'è che io, l'umorismo, come funziona non lo so. Nondimeno con spericolatezza lo pratico. Forse non è poi diverso dalla storia del calabrone che vola non sapendo di non poter volare.
In ogni caso scrivere con umorismo non è più semplice che scrivere con serietà, e non implica una conoscenza del mondo meno profonda. Di questa conoscenza, semplicemente, alcuni scrittori preferiscono fare un utilizzo piuttosto che un altro. Vero è che di norma negli ambienti dei premi letterari si privilegiano i toni più gravi, non si vuole rischiare di non essere presi sul serio, e dunque da quelle parti una risata è controproducente perché, come ci insegna quella famosa scena di Mary Poppins, la risata è una forza antigravitazionale. Magari è così che vola il calabrone.
Ma parliamo piuttosto di autori svizzeri immortalati con il proprio cacatua. Tra questi Dürrenmatt è il mio preferito. Il suo teatro è senza speranza, ma gonfio di umorismo. Dürrenmatt non scriveva commedie per rallegrare i suoi spettatori, ma perché riteneva che quella fosse la forma più adatta a raccontare la sua epoca sopra a un palcoscenico. Io questo non lo so, quel che so è che lui era un intellettuale e un filosofo, mentre io sono un pasticcione disordinato, nondimeno quando avevo meno di vent'anni fu il suo umorismo a spingermi a leggere tutto il suo teatro.
Poi c'è Kurt Vonnegut. Anche lui era un signore molto spiritoso, e, come Dürrenmatt, anche lui pensava che l'umanità fosse più o meno alla frutta. Non aveva un cacatua, credo avesse uno yorkshire. E nella sua biografia aveva esperienze reali, per niente accademiche, della stupidità incurabile di noialtri terrestri. Forse questa consapevolezza si trasferiva nel suo umorismo, che in qualche modo diventava una cosa più consolatoria, una cosa costruttiva per luoghi dove costruire non è più possibile.
Insomma i punti di riferimento che, quando è sereno, vedo in lontananza dal mio crinale sono cose come Le sirene di Titano, Mattatoio n.5, e poi I Fisici, Romolo il grande, eccetera. Questi pochi titoli non esauriscono di certo tutte le declinazioni dell'umorismo letterario che ho amato. Ci sono anche Stefano Benni, Raymond Queneau, Giovannino Guareschi, Paolo Nori, Osvaldo Soriano, Daniel Pennac, Charles Dickens, Douglas Adams, Terry Pratchet, e tutti quelli che ora dimentico.
Il versante dello stupore forse è anche più popolato di quello dell'umorismo. Non finirò mai di meravigliarmi davanti a tutta la fantascienza del mondo, a tutto il fantastico, ai libri di Buzzati, Kafka, Bulgakov, Asimov, Gogol, Rodari, Evangelisti e Dick. Ma se devo per forza indicare quali, tra le vette più alte dello stupore in letteratura, mi stupiscano di più, allora credo di dover indicare la regione del realismo magico. I sudamericani insomma. Cortázar e García Márquez per primi.
Di Cortázar ho amato particolarmente le indisciplinate Storie di cronopios e di famas, e poi il Bestiario, dove tra l'altro ho scovato le mancuspie, animali inventati che, vergognandomi un po', ho nominato di nascosto nell'Eolao. A mia discolpa bisogna dire che in fase di editing ho domandato a Fabio Stassi se, secondo lui, non fosse fuori luogo o irrispettoso tirare in ballo un gigante come Cortázar. Ne abbiamo parlato un po' e alla fine abbiamo messo nell'Eolao non solo le mancuspie ma anche altri bizzarri animali pescati nei libri di Borges e Tolkien e non so più chi altri. Colpa di Stassi.
L'Eolao è poi un romanzo fatto di esagerate esagerazioni, e il campione imbattuto delle esagerate esagerazioni è García Márquez. Da lui credo di aver imparato la smisuratezza delle cose. Di suo ho amato, se non tutto, quasi tutto, tra cui la raccolta della candida Erendira, per la quale ho un capriccioso debole. In uno di questi racconti un bambino e un angelo prendono assieme la varicella, così come il Tullio e l'eolao prendono assieme il raffreddore.
Per finire rimangono i titoli che prima di me, e molto meglio di me, già percorrevano questo crinale. Certe cose del già citato Stefano Benni, certe cose di Roald Dahl. E, su tutti, La trilogia degli Antenati di Calvino, la quale presenta insuperati picchi di umorismo e stupore combinati. Il che la rende forse il modello più alto al quale, sempre vergognandomi un po', mi rivolgevo durante la stesura dell'Eolao.