dietro le quinte

Scrivanie, dove nascono i libri: Roberto Mandracchia

Dove scrivono, quando scrivono le nostre autrici e i nostri autori? In questa puntata lo chiediamo a Roberto Mandracchia, in libreria con Don Chisciotte in Sicilia

Al primo romanzo ho lavorato dove capitava (ricordo persino una seconda stesura su una barca al largo delle coste dell’isola di Linosa; quella volta, l'ancora s'era incastrata nel fondale roccioso e ne abbiamo dovuto tagliare la cima). Il secondo l'ho scritto in parte ad Agrigento e in parte nella mia stanza in affitto a Roma (su un'intera parete c’era una carta da parati che formava come l'affresco di un giardino incantato dai colori lisergici; una roba così kitsch da sfiorare la poesia). Il terzo, "Don Chisciotte in Sicilia", l'ho scritto a Durrueli, una contrada di campagna a Porto Empedocle, citata due volte da Andrea Camilleri nella serie di Montalbano.

Una costante, però, è quella di avere sempre una parete di fronte e la finestra di lato o alle spalle, mai davanti. Se non ricordo male, quel vecchio volpone dello zio Stephen King consiglia una cosa del genere per non distrarsi. Funziona. Anche per sbatterci la testa contro più e più volte, in certi momenti.

Il mio metodo di lavoro consiste nello scrivere dentro e fuori casa su un taccuino (copertina rigorosamente nera, pagine rigorosamente bianche) frammenti di personaggi, scene, dialoghi o descrizioni presi da fuori e da dentro la mia testa, indifferentemente. Prima usavo i Moleskine, ma da quando ho scoperto che Tiger vende dei taccuini molto simili e che costano solo un euro (almeno l'ultima volta che li ho comprati) ho detto addio ai Moleskine. Poi viene il momento nel quale mi decido a sedermi alla scrivania, davanti al portatile. Di solito, le mattine d'estate. Inizio a battere sulla tastiera e se prendo qualcosa dai taccuini lo cancello da questi ultimi. Di solito, con delle righe trasversali. Non sento caldo e non sento fame, non sento sete e non sento freddo. Mai fatto yoga o meditazione, ma conosco bene cosa significa estraniarsi. Perché invento storie scrivendole da quando ho imparato a scrivere. A volte però questa trance non scatta e possono essere guai. Di solito, fumo molte più sigarette di quante già ne fumo. Durante lo yoga non mi farebbero mai fumare e per questo non mi avranno mai! Lo facesse Carrère!

"Don Chisciotte in Sicilia" (e non solo) l'ho scritto con davanti la solita parete, ma appesa sulla parete di Durrueli c'è la locandina di "Fitzcarraldo" di sua immensità Werner Herzog, regalo di un amico. Nella locandina si vede il protagonista del film, Fitzcarraldo, un uomo animato dal sogno folle di costruire un Teatro dell'Opera nel cuore dell'Amazzonia, e sullo sfondo una nave che viene trascinata su per una montagna della foresta, l'impresa folle all'interno del sogno folle.

Allora, quando sono in crisi e non sto sbattendo la testa contro il muro, accarezzo con lo sguardo questa locandina, questo santino personale. E penso: Fitzcarraldo, nella finzione, e il regista Herzog, nella realtà, sono riusciti a far scavalcare una montagna a un battello di 340 tonnellate. E io?

E io mi rimetto a scrivere.

Durante la salita, a differenza di Fitzcarraldo, sono da solo. Poi, nella discesa, si aggiungono gli altri, prezioso aiuto, ma all'inizio sono solo io. Io, quei taccuini e quello schermo bianco retroilluminato. Ma la locandina di quel film immortale sta lì a ricordarmi che, sì, si può fare e che, sì, conquistare l'inutile è bellissimo.


 


























 

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