Scrivanie, dove nascono i libri: Francesco "Kento" Carlo
Dove scrivono, quando scrivono le nostre autrici e i nostri autori? In questa puntata lo chiediamo a Francesco "Kento" Carlo, in libreria con Barre. Rap, sogni e segreti in un carcere minorile.
Le prime scrivanie su cui è nato Barre sono quelle delle carceri minorili in cui ho portato i miei concerti e laboratori di scrittura negli ultimi 10 anni. Tavoli di fornica bianca e vecchi banchi scolastici verdastri con incisi nomi, simboli, preghiere, imprecazioni. Scrivanie fissate solo nel ricordo analogico della mia memoria, visto che chiaramente non è consentito portare macchine fotografiche o – peggio ancora! - smartphone oltre i blindi.
Oggi che riguardo i vecchi appunti, buttati giù quando ancora non sapevo che sarebbero diventati un libro, è difficile capire dove finiscono le parole dei detenuti e dove iniziano le mie, e forse questa è la constatazione più bella che posso regalarmi a bilancio dell’esperienza.
La seconda scrivania sono state le mie ginocchia su cui, in attesa di partire o in viaggio, ho provato a fissare l’esperienza quando ancora le sensazioni erano vive e immediate. È una sorta di piacere segreto che mi concedo anche quando scrivo canzoni: metto la penna sul foglio tutte le volte che salgo in treno, in aereo o in nave (nel caso in cui la destinazione sia la mia dirimpettaia Sicilia), sia che stia andando o tornando da un concerto. Scrivere serve per anticipare o prolungare l’emozione del palco e a rendere più dolce e sopportabile – in salita e in discesa - il picco di adrenalina estremo che mi dà.
La terza e ultima scrivania è una scrivania, quella della casa a Roma, nei pressi della Garbatella, dove ho trascorso buona parte dei lockdown, totali e parziali, del 2020. (Sulla destra, appena fuori dalla finestra, potete scorgere il cappello di un nano di terracotta, che in questi mesi mi ha fatto compagnia senza disturbare quasi mai.)
È qui che il libro è quagliato, direbbe lo scrittore. È qui che ho passato i primi giorni di isolamento a tormentarmi, soffrendo appunto la mancanza del palco e sentendomi in colpa nei confronti dei ragazzacci detenuti, che avevo giocoforza dovuto abbandonare visto che tutto era chiuso e sospeso. È qui che Barre è diventato lo stimolo che mi ha tirato fuori da quel tormento e ha reso questo studio la mia stanza preferita di tutta la casa. Se il libro servirà a voi che lo leggerete anche una minima frazione di quanto è servito a me scriverlo, allora avrete fatto davvero un buon affare.
Ancora, francamente, non riesco a capacitarmi che ci sia qualcuno che mi paga per essermi preso cura di me stesso scrivendolo, per aver messo ordine e spazio in questo serraglio di tigri magnifiche e feroci che sono le esperienze raccontate sui miei fogli. Ma quest’ultimo dubbio, ovviamente, non andate a raccontarlo al mio editore.
Nelle puntate precedenti: