dietro le quinte

Scrivanie, dove nascono i libri: Davide Rigiani

Dove scrivono, quando scrivono le nostre autrici e i nostri autori? In questa puntata lo chiediamo a Davide Rigiani, in libreria con Il Tullio e l'eolao più stranissimo di tutto il Canton Ticino. 

L'atto pratico di scrivere un romanzo per me è perlopiù una faccenda di entropia e di cani. Spiego. Accanto alla casa dove io e mia moglie abitiamo c'è quella che, per investirci di nobiltà al prezzo di un francesismo, ci piace chiamare “la dépendance”. In verità la dépendance prima non era altro che un garage. Quando siamo venuti a vivere qui lo abbiamo fatto ristrutturare, ci abbiamo fatto mettere un pavimento piastrellato, una porta, un lavandino. L'abbiamo arredato con un vecchio divano, un armadio, alcune libreria Ikea e un cane spaventato.

Il cane spaventato abita nella dépendance perché dentro casa c'è un altro cane: il cane molto chiassoso. Il cane spaventato e il cane molto chiassoso provengono da un brutto sequestro per maltrattamenti. Oggi sono due cani sereni, ma per molto tempo hanno avuto bisogno di attenzioni particolari e di essere tenuti separati. Ci sono voluti anni per convincere il cane spaventato a lasciarsi accarezzare, e per tenergli compagnia io e mia moglie passiamo a turno del tempo in dépendance. Di solito io ci passo le mattine, e dunque è prevalentemente lì che scrivo: seduto sul divano, con il cane spaventato acciambellato accanto e il portatile sulle ginocchia.

In casa ho effettivamente anche una mia scrivania. Di comune accordo con mia moglie la mia scrivania è la parte della casa che compete a me soltanto e non deve rispettare per forza le ferree norme di ordine in vigore nel resto del regno. È il mio angolo, e quindi io là ci ammucchio i libri che voglio leggere, o rileggere, o controllare, o che mi hanno prestato, o libri che insomma me li sono dimenticati lì e basta. Là in mezzo, da qualche parte, ci sono i due tomi dell'Uomo senza qualità che mi attendono da anni, e prima o poi io li troverò.

Fatto sta che non uso la scrivania per scrivere neanche quando sono in casa, perché lì non c'è spazio. Quando sono in casa scrivo seduto sul divano del salotto, con il cane molto chiassoso acciambellato accanto e il portatile sulle ginocchia.

Disgraziatamente lo stato di disordine in cui tengo i libri sulla scrivania si estende anche alle altre librerie, sia della casa che della dépendance. Sugli scaffali delle librerie di casa ci dovrebbero essere la narrativa italiana e quella straniera in ordine alfabetico, poi il teatro, poi la poesia. Su quelli in dépendance la saggistica, i fumetti, la manualistica e cose varie. Inoltre mia moglie traduce e io stesso ho lavorato come redattore in passato, dunque abbiamo un paio di scaffali carichi di libri a cui in qualche modo abbiamo collaborato, perlopiù letteratura di consumo, ma insomma qua e là c'è anche qualche bel titolo.
Io però opero sulle nostre librerie come l'entropia opera sull'universo, ovvero tendo a distribuire in modo uniforme le cose nel sistema in cui si trovano. Se per qualche tempo lasciate fare a me vedrete che per esempio le forchette e i cucchiai che stanno in cucina finiranno equamente distribuiti in tutto lo spazio della casa. C'è dunque sempre un'alta probabilità che i libri non si trovino sullo scaffale in cui dovrebbero stare. Romanzi che finiscono nella saggistica, fumetti nella manualistica. Cent'anni di solitudine sotto la M di Márquez anziché sotto la G di García. La barbarie, l'inciviltà, il collasso dei valori.

Questo stato delle cose fa sì che, se sto scrivendo e mi si presenta la necessità di consultare il tal libro, ho la certezza quasi totale che si troverà nell'edificio in cui non sono al momento, e probabilmente non al suo posto. Sarà necessario mettere le scarpe, uscire, attraversare il giardino, e insomma andarselo a cercare. Lungo il cammino c'è sempre la possibilità che mi vengano in mente altre idee da scrivere, altri libri da consultare, che mi venga fame, che mi dimentichi cosa stavo andando a fare, o che mi ritrovi per le mani qualche libro che stavo cercavo forse sei mesi prima. Le variabili sono infinite e possono deviare in modo imprevedibile il percorso del mio lavoro. Fa tutto parte del mio metodo.

Spiego. Intanto a mia difesa bisogna dire che, sebbene mia moglie neghi, con gli anni sono diventato leggermente meno disordinato. Da giovane ero molto peggio. E dall'alto della mia esperienza posso affermare quanto segue: noi disordinati siamo i più bravi a trovare le cose perdute, perché siamo più allenati a cercare. E scrivere è anche cercare. Inoltre il disordine mi porta a scrivere scene diverse da quelle che avevo progettato, inventare personaggi che non erano previsti. Ciò è molto creativo e poco pratico, lo sconsiglio a tutti. Nondimeno inserisce elementi inaspettati che altrimenti non sarei in grado di immaginare. Rodari scriveva che «in ogni errore giace la possibilità di una storia», e che cos'è il disordine se non un luogo pieno di errori?

Naturalmente in questo grande caos non sarei in grado di portare a termine un bel niente e saremmo tutti quanti in balia della mia confusione letteraria, se non fosse per mia inestimabile moglie, la quale ha il superpotere di arrestare l'avanzata dell'entropia solo rivolgendole un'occhiataccia. Ella guarda male la mia scrivania, l'epicentro del disordine letterario di casa nostra e del mondo, e il disordine si ritrae nel suo angolo. Da tempo ho concluso che è dunque lo scontro tra queste due forze universali, l'entropia e mia moglie, a produrre ciò che scrivo.
























 



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