Scrivanie, dove nascono i libri: Carola Susani
Dove scrivono, quando scrivono le nostre autrici e i nostri autori? In questa puntata lo chiediamo a Carola Susani, in libreria con Terrapiena.
di Carola Susani
Da quando è nata la mia prima figlia, sono una scrittrice dell'alba. Mettere la sveglia, sgranare gli occhi, tirarsi su di scatto, quando va bene stendere le spalle, piegare le ginocchia, sentire lo scricchiolio dei legamenti, cercare la macchinetta del caffè. Non ho una scrivania, non ho uno studio; abito con un uomo e due ragazze in una piccola casa piena di libri: una tana, disse una volta mio fratello.
Per scrivere, mi sistemo al centro della casa, sul grande tavolo della cucina. Sposto le bottiglie rimaste lì dalla sera. Occupo il piano con il portatile, i libri e i quaderni, so che non ho molto tempo. Fuori, da notte si fa giorno, prima cantano i merli, poi, dopo un poco, appare luminoso il ligustro e, dietro, il grosso complesso degli anni Trenta.
L'ho imparato quando è nata la prima figlia: se non si può dividere lo spazio, bisogna dividere il tempo come fanno gli studenti indiani. Ognuno prende due tre ore, così ce n'è per tutti. Così, per avere un paio d'ore vuote e silenziose, ho messo indietro la sveglia fino a che ho potuto, a volte anche fino alle 4, al buio freddo. Prendo il caffè, mangio pane abbrustolito e olio e, rinvigorita dallo sforzo di volontà, scrivo.
Ho scelto la mattina perché la notte è sacra, la notte comincia prima delle 10 e serve a dormire. Dormire è una delle cose che preferisco, se fossi stata Palinuro, vinta dal sonno sarei crollata in acqua grata e senza rimpianti. Che anche nella preoccupazione estrema, che anche nel dolore, nella fame e nei lutti, a un certo punto si crolli addormentati, è una certezza che mi conforta immensamente. Dormire sparsi, umani e bestie, cani e greggi, per la città e per tutta la terra è la pace come me la figuro. Temo l'insonnia, ma fatico a concepirla, godo di sonnia: dormo dovunque, in macchina, in casa d'altri, al cinema, su una panchina. Ma quand'è l'alba ho imparato a scuotermi, da quasi vent'anni la mia scrittura nasce da uno sforzo della volontà.
Cerco nel buio interno, ma lo faccio da sveglia, scrivo per una sfida, muscolare; se tutto attorno a me, casa, bisogni d'altri, stanchezza delle membra, tutto canta: rinuncia, io dico: scordatelo, rilancio: Ulisse al palo con le Sirene attorno alla nave, Alfieri legato dal suo servo alla sedia da lavoro. Ma io faccio da me. Si può dire davvero che la mia scrittura non ama l'imbrunire, cerca prendendo slancio dal buio orizzonti bianchi.
Poi squilla la seconda sveglia, sento una voce, qualcuno mi chiama dalla sua stanza, raccolgo libri e computer, li sposto precari su una panca oppure li addosso all'angolo del tavolo, saluto, apro le ante, bacio e abbraccio, alzo la voce, preparo la colazione del risveglio. Certo è questa la ragione per cui mi perdo i quaderni e l'agenda, e poi durante il giorno passo il tempo a cercarli, sotto il letto, negli scaffali, dove qualcuno li ha spostati per sedersi.
Da un paio d'anni però mi sono ritrovata stanca, la testa e il corpo rifiutano l'alba, quando provo di nuovo a mettere la sveglia alle quattro, mi alzo ma resto intontita tutto il giorno. Le ragazze hanno meno bisogno, vanno a scuola, così ho cominciato ad alzarmi più tardi, verso le sei, e ho cominciato ad occupare scrivendo il tavolo quasi per tutta la mattina. Meno muscolare, il mio modo di scrivere si è rilassato.
Il tempo della scrittura si è fatto autorevole, occupa quasi metà del giorno: la mia è diventata una scrittura diurna. Una scrittura professionale. È stata una grande conquista, anche se a ora di pranzo bisogna comunque che raccolga le mie cose o le sposti per apparecchiare.
Ora con il virus siamo in quattro nella tana, mi toccherebbe riconquistare l'alba, ma l'energia mi manca, così trascorro pigramente le ore della mattina, scrivendo un po', lavorando un po', grande tavolo più precario del solito, mentre le figlie occupano il divano, chi disegnando, chi guardando una serie e Carlo lavora al fisso in camera da letto. Dimentico i doveri, se ne ho tre, ne considero a malapena uno soltanto. Il sole illumina il ligustro e la cucina, la testa arranca, i progetti si fanno languidi, sempre più onirici.
Nelle puntate precedenti:
La scrivania di Danilo Soscia
(Immagine di copertina: Dustin Lee - Unsplash)