Rap: una playlist di Cesare Alemanni
Cesare Alemanni è in libreria con Rap. Una storia, due Americhe: gli abbiamo chiesto di preparare una playlist per accompagnare la lettura. Buon ascolto!
di Cesare Alemanni
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Garland Jeffreys - Wild In The Streets (1973)
Cominciamo con un pezzo rock, dal sapore vagamente rollingstoniano, del cantante afro-americano Garland Jeffreys. Un pezzo che con poche ma eloquenti parole cattura, nel bene come nel male, perfettamente l’aria che si respirava nei ghetti newyorkesi dei primi anni 70. Quelli che racconto nel primo capitolo. Un pezzo che parla di estati torride, idranti aperti a tutta nelle strade, feste di quartiere e violenza tra gang.
James Brown - Give It Up Or Turn It A Loose (1970)
James Brown non ha bisogno di presentazioni. Oltre a essere uno dei pezzi più celebri del Padrino del funk, questa è anche una delle canzoni che ha ispirato l’idea del break al pioniere del rap Kool Herc.
DJ Grand Wizard Theodore - Subway Theme (1983)
Un pezzo di straordinario proto hip-hop dall’umore decisamente livido. Incluso nella colonna sonora di Wild Style, seminale pellicola sulla nascita del writing e della cultura hip-hop, in seguito è stato ripreso da Nas nell’intro del suo disco capolavoro: Illmatic (1994).
Afrika Bambaataa & The Soul Sonic Force - Planet Rock (1982)
Una delle prime hit nella storia dell’hip-hop, nonché il primo pezzo interamente elettronico nella storia del genere. Un pezzo che riesce a tenere insieme il synth di Trans Europe Express, le batterie “robotiche” della leggendaria Roland 808 e che certifica da solo la straordinaria rilevanza di Bambaataa.
Grandmaster Flash & The Furious Five - The Message (1982)
Altra canzone monumento dei primissimi anni dell’hip-hop: oltre a essere uno dei primi pezzi a sfondo compiutamente sociale rappresenta anche un passaggio chiave nell’evoluzione del modo di rappare (il cosiddetto flow) e del peso specifico degli mc (i rapper), che da questo pezzo in poi cominciano a rubare il proscenio ai dj/produttori che fino a quel momento erano state i veri “volti” del genere.
Run D.M.C. - Sucker M.C.’s (1983)
Oltre a essere la B-Side del primo pezzo (It’s Like That) mai registrato da uno dei gruppi più importanti nella storia del rap, Sucker M.C.’s prosegue nel solco tracciato da The Message per quanto riguarda lo stile del rap che propone: un flow sempre più spezzato e incisivo, decisamente lontano da quello proposto da canzoni seminali come Rapper’s Delight, ancora improntate a un cantilenato funk/disco.
T La Rock & Jazzy Jay - It’s Yours (1984)
Russell Simmons, uno dei più importanti businessman nella storia del rap lo ha definito in più di un’occasione il pezzo con il “sound più nero di sempre”. Paradossalmente però lo ha prodotto un bianco, Rick Rubin, un giovanissimo punk che per primo comprese il potenziale “hardcore” del rap. Come se non bastasse proprio questo pezzo contribuì a far conoscere proprio Simmons e Rubin dando vita al loro sodalizio alla Def Jam, etichetta fondamentale per la storia del rap: scopritrice tra l’altro di personaggi da nulla come Beastie Boys, LL Cool J e Public Enemy.
Public Enemy - Rebel Without A Pause (1988)
La lista dei pezzi dei Public Enemy che meriterebbero una menzione è infinita. Scelgo semplicemente il mio preferito che comunque contiene tutti gli ingredienti – un beat tanto policromo quanto devastante, la voce tonante di Chuck D, le rivendicazioni politiche senza compromessi – che resero il gruppo in questione la band politicamente più incandescente di fine anni 80 e non solo in ambito rap.
Eric B. & Rakim - Follow The Leader (1988)
Vale quanto appena detto per i Public Enemy: difficilissimo scegliere il pezzo più significativo prodotto da questo duo nel biennio ’88/’89. Scelgo questo anche solo per la rima “I can take a phrase that's rarely heard/Flip it - now it's a daily word” (“posso prendere una frase che si sente di rado, ribaltarla e ora è una parola di uso comune”) che riassume perfettamente l’impatto rivoluzionario che ebbe sugli ascoltatori il flow di Rakim, avanti anni luce rispetto ai suoi contemporanei.
N.W.A. - Straight Outta Compton (1988)
È la scelta più ovvia dal repertorio di questo gruppo ma direi che è una scelta quasi obbligata: non esiste nulla che catturi meglio lo spirito del primo gangsta rap e l’aria che tirava nella Los Angeles di fine anni 80, una delle città più violente e razzialmente divise degli USA, come da lì a pochi anni avrebbero dimostrato le famigerate L.A. riots seguite al pestaggio di Rodney King.
A Tribe Called Quest - Check The Rhime (1991)
Uno dei gruppi più rivoluzionari e musicalmente sofisticati nella storia del genere capaci di sposare la generosità ritmica del funk e l’eleganza dell’eloquio jazz come quasi nessuno prima e dopo di loro. Una testimonianza di un diverso modo – più riflessivo e disteso – di intendere il rap, sfortunatamente travolto, almeno a livello mainstream, dallo straripante successo del gangsta rap.
Wu-Tang Clan - C.R.E.A.M. (1993)
Lo straziante campione di piano soul, la batteria senza fronzoli, il racconto straordinariamente vivido delle esperienze di strada che propongono Raekwon e Inspectah Deck fanno di C.R.E.A.M. uno dei più grandi classici della storia del rap, nonché il portabandiera ideale del rap newyorkese della prima metà degli anni ’90, uno dei periodi in assoluto più fecondi nella storia del genere.
Tupac - California Love (1996)
Una hit straordinaria degli anni 90 che ha il pregio di raccontare due cose in una: l’incredibile potenziale catchy del g-funk, il suono di Dr. Dre (qui nelle vesti di produttore e rapper) e il carisma magnetico di Tupac al microfono. Qui in un pezzo registrato solo pochi mesi prima della sua prematura scomparsa.
The Notorious B.I.G. feat Jay-Z & Angela Winbush - I Love the Dough (1997)
Non certo il pezzo migliore di Biggie. Lo scelgo perché, come California Love, illustra efficacemente quello che è uno dei principali lasciti di colui che, misurato in termini di puro talento e di flow, è forse stato il più grande rapper di sempre: ovvero la capacità di sposare sonorità radio friendly, quasi pop e r&b, al rap hardcore. Un “format che avrebbe fatto la fortuna di infiniti rapper a cavallo tra anni ’90 e 2000. Bonus: la presenza di Jay-Z, all’epoca ancora soltanto uno sparring partner, seppure di indiscutibile talento.
Eminem - White America (2002)
Uno dei pezzi manifesto di Eminem, a posteriori quasi profetico rispetto all’andamento della politica americana contemporanea e all’ascesa dei populismi che capitalizzano sulla rabbia e la frustrazione da declassamento dell’americano medio. “So much anger aimed/In no particular direction/Just sprays and sprays/And straight through your radio waves it plays and plays”: al netto delle differenti visioni politiche queste parole potrebbero essere la sigla di un programma di Rush Limbaugh, Sean Hannity o Glenn Beck.
OutKast - SpoottieOttieDopaliscious (1997)
Uno dei pezzi artisticamente più ambiziosi di uno dei gruppi artisticamente più ambiziosi della storia del rap: un flusso di coscienza lirico-musicale che espanse ciò che l’hip-hop poteva essere e che, soprattutto, mise definitivamente sulla mappa gli OutKast e tutto il sud degli Stati Uniti con loro. Quello stesso sud che, avendo le radici in una differente terriccio culturale e musicale rispetto alle grandi metropoli costiere, avrebbe poi dato i natali alla trap.
Kanye West - Runaway (2010)
Se gli OutKast contribuirono ad allargare le frontiere geografiche del rap, West è stato colui che più di chiunque altro si è adoperato per estenderne i confini emotivi e questo pezzo, persino ricattatorio nella sua perfezione pop, costituisce una sintesi definitiva di quasi quarant’anni di evoluzione e maturazione del genere. La presenza di Pusha-T, uno dei personaggi più influenti ma meno riconosciuti, per la definizione dell’estetica del rap contemporaneo, è un motivo in più per sceglierla.
Future - Trap Niggas (2015)
A rigore qui dovrebbe esserci un pezzo di Kendrick Lamar visto il peso del personaggio e invece c’è questo pezzo di Future da quello che, secondo chi scrive, è uno dei migliori dischi del decennio e non solo in ambito rap: Dirty Sprite 2. Un album che è uno dei frutti più maturi della trap contemporanea, nonché un viaggio allucinato nelle psicosi di plastica di una popstar al tempo di Instagram.