Incontri

Quei pomeriggi ad ascoltare le sue storie da romanzo: così è nato il libro su Gianni Minà

È in libreria Storia di un boxeur latino: per la prima volta Gianni Minà mette insieme i ricordi e gli incontri di una vita, con la complicità di Fabio Stassi.
In questo articolo apparso su la Repubblica - Palermo, scopriamo com'è nato questo sodalizio.
 

di Fabio Stassi

Ho conosciuto Gianni Minà nell’autunno del 2014. Era un piovoso pomeriggio di settembre e un coraggioso e appassionato editore di Alcamo, Ernesto Di Lorenzo, aveva voluto a tutti i costi farci incontrare. Pensava che avessimo molte cose in comune: l’amore per la musica e per la letteratura sudamericana, per lo sport, per il cinema e il giornalismo di una volta e per le figure marginali e sfortunate che hanno sempre incarnato l’aspirazione alla verità e alla giustizia. Ne avrebbe voluto far nascere uno di quei libri con le domande in corsivo e le risposte in tondo: un dialogo a tema libero, dai Sud del mondo all’epica della boxe, dai personaggi di romanzo alla bossa nova.

Gianni ci accolse nella sua casa piena di luce, nonostante la pioggia. Ci offrì un caffè, ci mostrò le tante fotografie appese alle pareti: in uno di questi scatti, lo si vedeva accanto a Pietro Mennea, con il microfono in mano, sulla pista dello Stadio Atzeca di Città del Messico, pochi secondi dopo lo storico record del mondo sui 200 metri; in un altro insieme al presidente Pertini. Poi cominciò a parlarci delle gioie e delle amarezze della sua carriera.

Quel libro, purtroppo, non si fece, ma io tornai negli anni seguenti a trovarlo, per lunghi pomeriggi, dopo il lavoro.

Se c’è un segreto, in lui, è nei suoi occhi, nella luce leale che li illumina, in quell’irriducibile entusiasmo di vivere che non lo ha mai abbandonato. Mi piacevano le sue storie, e lui era contento che ci fosse ancora qualcuno che avesse voglia e piacere di ascoltarle.


Dopo un po’ ci trasferimmo nello studio. Dietro la sua scrivania, c’è un quadro: pochi segni di vernice nera su un enorme foglio bianco: la cornice dei capelli, il segno delle sopracciglia, la fessura del mento. Ma è soprattutto dai baffi e dai due dischi degli occhi che si riconosce la faccia di Gianni. Sotto, il pittore ha aggiunto una frase in stampatello, a grandi caratteri: Primera nota para un buen retrato. E la firma: Siqueiros, la leggenda della pittura murale messicana, con Diego Rivera e Orozco.

In quei pomeriggi, sotto a quel ritratto, Gianni mi ha raccontato la sua vita, con lo stupore, l’empatia e la levità di chi ti sta confidando qualcosa che a lui stesso, per primo, sembra inverosimile. La sua curiosità congenita, la gavetta e i rimproveri, la capacità e l’istinto di essere sempre il primo a stare sul posto, lì dove accadono le cose, gli aerei, i match del secolo, le domande pericolose, i congedi e gli allontanamenti…

Ma è stata la prima parte della sua vita, quella che conoscevo meno, a colpirmi forse anche più del resto, perché i ricordi dell’infanzia e le vicende della sua famiglia non sono meno favolosi degli altri. Il padre di suo padre, nonno Vincenzo, veniva dalle Madonie, da Castelbuono; era un impiegato delle Ferrovie dello Stato spedito a lavorare al nord, ad Asti, dove si era innamorato della figlia di un garibaldino, nonna Cesira. Ma a lui era toccata una sorte infelice: era morto nel suo ufficio di Torino, nel bombardamento pesante del 13 luglio 1943, sparendo sotto un polverone di calcestruzzo e di terra come il padre di Rosso Malpelo nella miniera.

Un’altra catastrofe, il terremoto di Messina del 1908, si era portato via molti anni prima anche l’altro nonno, Giovanni. A Messina sua nonna Nella c’era arrivata da Lipari, la sua isola d’origine, ma l’onda d’urto di quella tragedia la spinse via dalla Sicilia, vedova, insieme a sua figlia, fino a Trieste. Se poi i genitori di Gianni si erano incontrati a Torino era stato soltanto per una gita scolastica.

Ma tra tante migrazioni e vicissitudini, la storia più bella riguardava un fratello di nonna Nella, l’unico a puntare la sua bussola a Oriente, lo zio Peppino, che era finito a San Pietroburgo ed era entrato a far parte dei cosacchi del Don. Ora tutte queste peripezie, la geografia incredibile della sua vita, i suoi tanti incontri, Gianni Minà li ha messi dentro un altro libro appena uscito in questi giorni per minimum fax.



Il titolo lo si deve a una dedica di Paolo ConteStoria di un boxeur latino. E in copertina c’è il ritratto di Siqueiros. Ma più che un’autobiografia, è una dichiarazione d’amore. E uno dei più improbabili ed esaltanti romanzi d’avventure che possa capitare ancora di leggere. Un romanzo picaresco e di formazione. Un inesauribile elogio dell’amicizia e della fratellanza umana, che contiene una precisa idea del mondo, dei rapporti umani e del giornalismo. Come dice un vecchio tango argentino: La vita è una milonga, bisogna saperla ballare.



(La foto di Gianni Minà è di Paolo Ranzani)

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