E Baboucar guidava la fila
Un assaggio dal libro
Tratto da E Baboucar guidava la fila di Giovanni Dozzini.
Baboucar guidava la fila. Subito dopo di lui veniva Yaya, qualche metro più indietro gli altri quattro: Robert, Ousman e i due Mohamed. Accanto a loro scorrevano le fabbriche e i girasoli, poi arrivarono gli orti e le prime case del paese. Le macchine veloci di mezzogiorno gli facevano aria, i loro vestiti erano puliti, le scarpe da tennis di sottomarca, i jeans chiari, i cellulari in mano. Nella busta di plastica che Baboucar si stringeva al fianco si intravedevano asciugamani e un pettine, il più alto dei due Mohamed portava una shopper nera di Umbria Jazz a tracolla che sembrava quasi vuota. Tutti procedevano con la testa china e gli zaini in spalla, Ousman e Mohamed il Basso ogni tanto scambiavano qualche parola in wolof, gli altri ascoltavano la musica in silenzio e si lanciavano giusto qualche occhiata per capire da che parte andare. Quando furono alla fine della strada Baboucar fece cenno a tutti di fermarsi, e i sei si radunarono nello spigolo di uno spiazzo davanti a un bar. Baboucar si passò una mano sui capelli voluminosi, una grossa spugna nera incollata al nero della testa.
«Adesso andiamo di là, perché ci aspettano di là», disse indicando la strada che si inoltrava nel paese.
Cinque minuti più tardi si aprì alla loro vista un ampio parco, con una recinzione di legno, giochi per bambini e lunghi tavoli di legno riparati da alte tettoie. I filari di pioppi, poco dopo, segnalavano il letto del Tevere. Gli altri erano lì, con delle grandi buste appoggiate su uno dei tavoli, e quando li videro cominciarono a sbracciarsi.
La prima cosa che fece Baboucar fu andare da Mariam e chiederle se il posto le piaceva, e lei gli rispose di sì senza sollevare gli occhi dal cellulare. Il vestito corto blu le scopriva delle belle gambe color nocciola, Baboucar le si sedette accanto e rimase per un po’ in silenzio cercando di capire cosa fare. Gli altri si erano già confusi col resto della compagnia, qualcuno aveva cominciato ad apparecchiare con le ciotole e le pentole piene di verdure e di riso. Poi Baboucar aveva domandato di Ibrahim. Una mano gli indicò un ragazzo che stava parlando al telefono all’altro capo della tavola, ma Baboucar disse che non intendeva quell’Ibrahim, così gli fecero presente che l’Ibrahim giusto non sarebbe venuto.
«Che cazzo dici?», fece lui, sgranando gli occhi e posandoli fugacemente su Mariam, che però non li stava ascoltando.
Quello che aveva parlato gli si accostò e gli spiegò che Ibrahim aveva avuto altro da fare. Baboucar cominciò ad arricciare le labbra nervosamente e alzò un po’ la voce spiegando che i patti erano diversi e che aveva detto agli altri che dopo pranzo sarebbero andati in piscina dall’amico di Ibrahim, indicò la busta piena di asciugamani e pensò con terrore alla reazione di Mariam e all’immagine di Mariam in costume da bagno che andava in fumo. Il ragazzo si strinse nelle spalle, e qualcuno gli disse di non prendersela troppo, perché quello che non si poteva fare oggi si poteva fare domani. Baboucar scosse la testa e sputò, sentì lo stomaco stringersi e gli parve che la colonna di capelli gli si afflosciasse sulla fronte. La tastò, era ancora al suo posto, trovò il coraggio necessario per parlare con Mariam. Stavolta la ragazza alzò la testa, sorrise e assicurò di non essere delusa. Aggiunse che però a quel punto avrebbe detto alle altre di non venire, cosa che a Baboucar non interessava, anche perché le altre non venivano mai da nessuna parte, né in giro né alle prove del film. E poi a lui, come sapevano tutti, importava solo di Mariam. Quando, subito dopo pranzo, la vide allontanarsi senza dire niente a nessuno si sentì gelare, ma poi notò la borsa appoggiata sulla panca e capì che sarebbe tornata. Lei faceva così. Ogni tanto scompariva, poi riappariva e sorrideva.
«Io penso che possiamo andare al mare».
Li sorprese. Per qualche istante nessuno fiatò, poi Yaya spalancò la bocca sulla sua dentatura perfetta e bianca e applaudì senza alzarsi dalla panca.
«Grande Baboucar», disse, e diede uno scappellotto a Mohamed il Basso che gli stava seduto davanti, perché si scrollasse di dosso quell’aria da scimunito e facesse vedere anche lui il suo entusiasmo. L’altro Mohamed sorrise e alzò gli occhi al cielo, mentre Robert si guardò intorno per esaminare le reazioni degli altri e capire quale dovesse essere la sua. Ousman scosse la testa, e parlando in wolof disse che Baboucar doveva essere uscito di senno.
«No», replicò lui, «si può fare. Fidatevi». Tutti, a eccezione dei due ivoriani che capivano poco l’italiano, prestarono attenzione al piano con cui Baboucar voleva riabilitarsi per la fregatura della piscina.
«Andiamo in treno fino a Foligno. A Foligno prendiamo un treno nuovo. Poi arriviamo al mare». Mohamed l’Alto protestò subito per i soldi dei biglietti, e Baboucar disse che non li avrebbero pagati. «Basta uno», fece con l’indice alzato. «Uno solo. Quegli altri si nascondono». Sul viso di Ousman si dipinse un’espressione scoraggiata, che gli socchiuse gli occhi e gli fece sembrare le labbra ancora più grandi. «È difficile», disse. «È facile», rispose Baboucar. «Se arriva l’uomo del treno andiamo nel bagno. Quelli senza il biglietto vanno nel bagno».
Non li convinceva. Non tutti, perlomeno: Yaya sembrava gasatissimo, Mohamed il Basso e Robert ascoltavano con attenzione in silenzio, gli ivoriani non avevano mai smesso di parlottare tra loro. Quelli più perplessi erano Mohamed l’Alto e Ousman.
«È pericoloso», disse Ousman, e spiegò concitatamente che non poteva permettersi di rischiare niente, perché la commissione gli aveva detto di no. Baboucar lo tranquillizzò: quell’unico biglietto sarebbe stato il suo. Il piano prevedeva che Ousman viaggiasse da solo nel vagone più vicino alla locomotiva, e gli altri si dividessero in quelli più lontani. Appena il controllore avesse visto il biglietto di Ousman lui li avrebbe chiamati per dirgli di nascondersi nel bagno.
«Oh», disse Mohamed l’Alto a Yaya dandogli di gomito, «Baboucar è pazzo».
L’altro Mohamed rise, e rise anche Robert pur non avendo capito troppo bene. Ousman guardò Baboucar e disse di no, poi si allontanò verso i giochi, si sedette sul girello e cominciò a pensare. Baboucar pareva comunque soddisfatto, perché i due Mohamed, Robert e Yaya, ne era certo, sarebbero andati al mare con lui. Ora veniva il pezzo forte, ma pensò che di fronte a tutte quelle adesioni Mariam sarebbe rimasta impressionata, e non si sarebbe tirata indietro. Di invitare solo lei non se ne parlava. Era ancora troppo presto. E Baboucar non era sicuro di essere un tipo così romantico. Avrebbe voluto, ma forse gli serviva ancora un po’ di esperienza.
Intorno a metà pomeriggio il parco cominciò a riempirsi. Uomini e donne avevano lasciato le loro macchine nel grande parcheggio e si erano chiusi dentro a una struttura in muratura poco più in là delle tavolate. Sulla facciata aveva aperture che lasciavano intravedere il viavai della gente, ed era tappezzata di manifesti. Proprio mentre i ragazzi africani stavano finendo di mangiare era arrivata un’altra comitiva, con donne velate, uomini senza muscoli e quattro o cinque ragazzini, e si era piazzata a un tavolo vicino.
Baboucar stava cercando di spiegare a Robert, in inglese, che il programma di andare in piscina era saltato. Ibrahim non c’era e non rispondeva al cellulare, e l’amico italiano di Ibrahim che li avrebbe dovuti ospitare a quel punto forse non esisteva nemmeno. Adesso aveva avuto l’idea di andare al mare, ed era convinto che fosse un’idea molto buona. Robert annuiva, si mordeva il labbro superiore e ogni tanto guardava gli altri per vedere se stessero seguendo anche loro o se quelle spiegazioni fossero solo per lui. Cominciava a capire l’italiano, ma le cose complicate era meglio sentirsele dire in inglese.
Mohamed il Basso si era addormentato su una panca di legno, con le braccia incrociate dietro la nuca e il cappellino da baseball appoggiato sullo stomaco. Ousman se ne stava in silenzio, i gomiti sul tavolo e la testa sui palmi, e ascoltava il suo stomaco in attesa che riprendesse a fargli male. Dopo ogni pasto, per un po’, il dolore se ne andava, ma il sollievo durava non più di un’ora o due. Quando erano passati i maghrebini aveva indugiato su una ragazza magra in pantaloncini corti, l’unica senza velo: aveva lunghi capelli ondulati e un viso scavato in cui spiccavano grandi occhi neri. Lei se ne era accorta, e l’aveva fissato senza sorridere, le labbra piccole e carnose immobili, l’andatura sgraziata da fenicottero di una bambina appena cresciuta. Adesso era insieme ai suoi al di là del barbecue di pietra, e Ousman già non ci pensava più. Pensava al mare, e a cosa era meglio fare.
Mariam si rifece viva poco dopo le cinque, e quando Baboucar la vide non riuscì a resistere e le andò incontro con le mani nei pantaloni e la cresta vagamente inclinata all’indietro. Mohamed l’Alto guardò Yaya sorridendo, Robert osservò l’incedere di Baboucar, la sua figura tozza che si allontanava facendosi a ogni passo più piccola mentre quella di Mariam si ingrandiva, ma piano piano, perché lei camminava in mezzo al prato con lentezza esasperata. Yaya e Mohamed l’Alto si dissero qualcosa a bassa voce, Yaya schioccò la lingua e incrociò le braccia per assistere alla scena con l’attenzione dovuta. Quando Baboucar e Mariam furono vicini lui cominciò a parlare, mentre lei chinò la testa sul cellulare stretto tra le mani. Dopo poco sul volto di Mariam si schiusero le due grandi conchiglie d’avorio degli occhi, e da lontano nessuno poté accorgersi del movimento impercettibile dei muscoli sotto gli zigomi. Baboucar allargò le braccia, gesticolò, lei si mise il telefono in tasca, disse qualcosa. Quel dialogo non durò molto. I due tornarono dagli altri, Baboucar davanti e Mariam subito dietro, e Baboucar sembrava contrariato.
«Babou!», disse Yaya. Ma lui non lo degnò di considerazione.
Mariam prese la sua borsa, salutò tutti e se ne andò ancheggiando.
Era stata una giornata calda. I maghrebini avevano vociato per un po’ e adesso si stavano preparando per smobilitare. Ousman beveva alla fontanella cercando lo sguardo della ragazzina. Nel corso del pomeriggio il parco si era popolato di molta gente, la maggior parte della quale si era chiusa dentro alla struttura ricoperta di manifesti, e pochi minuti prima era arrivato anche un pulmino con una grande scritta e una grande faccia di donna stampate sulla fiancata. Ne erano scesi cinque o sei uomini e una donna, quella della foto, e Ousman pensò che dovesse chiamarsi Lory, visto che la scritta sul pulmino recitava Lory’s Stars. E quelle sarebbero state le sue stelle? A Ousman, vedendo gli uomini vecchi, grassi o allampanati che tiravano fuori grossi oggetti scuri dal bagagliaio, venne da ridere. Era appoggiato coi polsi alla fontanella, e pareva un ramo flessuoso sferzato dal vento. Il pulmino si era fermato vicino a un altro casottino di pietra, al di là di una distesa di cemento recintata da una ringhiera metallica verde. In fondo alla piattaforma c’era un palcoscenico, e Ousman notò che qualcuno, un uomo a torso nudo, ci stava già sistemando un po’ di aggeggi. Ousman si tirò su e si passò dell’acqua sulla faccia e sulle braccia, poi si asciugò le mani sui jeans. Cercò di concentrarsi sulla donna: parlava al telefono torturandosi i capelli con una mano, di tanto in tanto si fermava e si lanciava un ciuffo all’indietro, quindi sbatteva i tacchi a terra e scuoteva la testa. Litigava con un marito geloso, o con un figlio disobbediente, e quando uno dei musicisti le passò vicino dandole un pizzicotto su una coscia si girò di scatto e cercò di colpirlo con un calcio. L’uomo si mise a ridere, e disse qualcosa che Ousman non avrebbe capito nemmeno se si fosse trovato più a tiro. Fu allora che avvertì l’avvicinarsi di qualcuno alla fontanella, i passi sulla breccia e sulla terra secca, e voltandosi vide che si trattava della ragazzina maghrebina. Lei girò il rubinetto e si chinò in avanti per bere, ma il getto dell’acqua era troppo forte e finì per bagnarsi la canottiera e i piedi. Arrossì senza guardare Ousman, che invece non le aveva tolto gli occhi di dosso.
«Aiuto?»
Lei scosse la testa, ancora senza guardarlo, indecisa se continuare a provare o tornare indietro, ma Ousman afferrò il rubinetto e lo girò con cautela finché la portata dell’acqua non fu giusta. La ragazzina a quel punto bevve tenendo entrambe le mani a coppa sotto il rubinetto, e quando ebbe finito finalmente lo guardò e sorrise.
«Grazie», gli disse, e poteva avere sedici, forse diciassette anni.
Quando capirono che quella era una sagra paesana e che si poteva cenare con poco decisero di rimanere un altro po’. Mangiarono una specie di grossa focaccia farcita di spinaci e delle patate fritte, e bevvero acqua. A cena parlarono un po’ di dove passare la notte, e venne fuori che i due Mohamed se ne sarebbero tornati a casa. Dissero che si sarebbero incontrati l’indomani alla stazione di Ponte San Giovanni, ma nessuno li prese sul serio. Ousman voleva tornare a Perugia, anche se non lo voleva così intensamente da decidere di farlo subito, prima che facesse buio, prima che i semafori cominciassero a lampeggiare e la città diventasse lontana. Cercava manforte in qualcun altro, ma l’unico ad avere i suoi stessi dubbi era Robert, che però non lo dava a vedere. I due ivoriani stavano per conto loro. Si erano allontanati un po’, giravano per il parco con la testa verso le cime degli alberi, di tanto in tanto indicavano qualcosa o si fermavano per guardare un bambino sullo scivolo o una giovane mamma. Yaya disse che secondo lui potevano provare a sentire un suo amico che viveva a Ponte San Giovanni, così il giorno dopo sarebbero stati vicini alla stazione, Baboucar chiese chi fosse, Ousman scosse la testa. Accanto a loro il tavolo si era riempito, così come si erano riempiti tutti gli altri tavoli, quelli di legno e quelli di plastica sparsi sul prato e sullo sterrato. Era una grande festa.
Robert era l’unico a essersi fatto farcire la focaccia con la salsiccia e, quando ebbe finito, Yaya gli domandò se era buona. Così Mohamed l’Alto chiese a Yaya se avesse mai mangiato carne di porco, e lui rispose di sì. Baboucar, che sedeva tra i due, disse che Yaya non era un buon musulmano e si mise a ridere.
«E tu», disse Yaya facendo la parte, «oggi quante volte hai pregato?» A questo punto risero tutti, e pure i due italiani sulla settantina seduti vicino a loro, sicuramente marito e moglie, avevano smesso di chiacchierare.
«Io sì», disse Ousman, «io pregato».
«Cinque volte?», chiese Yaya.
«Tre», rispose Ousman mostrando tre dita protese. «Tre volti».
Yaya annuì, Baboucar chiese a Robert se avesse capito, lui disse così così. Mohamed l’Alto gli spiegò tutto in inglese, Mohamed il Basso si alzò per rispondere al telefono e si inoltrò fra i tavoli. La musica adesso si era fermata. Ousman si alzò e si incamminò verso la piattaforma, Baboucar si rimise a parlare con Yaya della casa del suo amico di Ponte San Giovanni, che non conosceva.
«C’è posto? Sicuro? È Arci? È vicino alla stazione?»
Per tutta risposta, Yaya prese il telefono e chiamò. Robert osservava la scena e pensava di avere voglia di tornare a casa, ma di avere anche voglia di andare al mare. I due ivoriani erano spariti di nuovo, i due Mohamed parlavano al telefono. Yaya fece squillare quello del suo amico per qualche secondo, poi fece di no con la testa.
«Vedi?», disse Baboucar.
«Eh».
I due anziani italiani, che non avevano ancora cenato, sembravano interessatissimi. Lui disse qualcosa alla moglie, in dialetto, lei non seppe cosa rispondergli, ma di sicuro, pensò Robert, riguardava loro.