intervista

Complotti! Una conversazione con Leonardo Bianchi

Abbiamo parlato con Leonardo Bianchi di Complotti! Da QAnon alla pandemia, cronache dal mondo capovolto. 


Come si costruisce un libro come «Complotti!»?

Di solito parto sempre da una base d’archivio, formata soprattutto da articoli che ho scritto nella mia attività giornalistica quotidiana.

Di teorie del complotto, in particolare, me ne sono sempre occupato: per me coprire la politica e l’attualità significa coprire anche le teorie del complotto, perché sono un elemento centrale della vita pubblica di ogni paese – anche se si pensa che non sia così.

Buona parte del materiale di Complotti! deriva ovviamente dalla newsletter omonima che ho aperto a dicembre del 2020, e che continuo a curare. La parte più importante del libro è stata proprio la sistematizzazione dell’immensa mole di materiale che ho raccolto nel tempo, più che la stesura vera e propria. 

 

Come possono delle teorie così destabilizzanti e catastrofiche diventare l'unica via rassicurante per alcune persone?

Principalmente perché le teorie del complotto danno l’illusione di spiegare un mondo sfuggente e imprevedibile, che quasi sempre va oltre il nostro controllo. Inoltre, hanno successo perché indicano dei responsabili (e in alcuni casi dei capri espiatori), e quindi assegnano la colpa a individui o gruppi esterni al nostro gruppo sociale o politico di riferimento. 

Come ha scritto Rob Brotheron nel fondamentale saggio Menti sospettose, le teorie del complotto “rendono spiegabile l’inspiegabile” e “comprensibile la complessità”, riuscendo così a “lastricare una realtà caotica, sconcertante e ambigua con una spiegazione semplice: la colpa è loro”. In più, sostiene la psicologa Karen Douglas, il complottismo soddisfa anche dei “bisogni psicologici che in un dato momento sono irrisolti”.

Tutto ciò è ancora più marcato durante le grandi crisi epocali. In quei momenti, quindi, rifugiarsi nelle teorie del complotto è un atteggiamento assolutamente razionale di fronte allo sconvolgimento della propria vita e delle proprie certezze.

 

La situazione di pandemia ha sicuramente accelerato i processi di diffusione delle teorie del complotto. I complottisti torneranno nell'oscurità quando la situazione si sarà normalizzata o questo è solo l'inizio di una lunga convivenza alla luce del sole?

Non penso proprio che i complottisti torneranno nell’ombra – ammesso che ci siano mai stati veramente.

Secondo l’analisi del professore Michael Butter, e che io condivido appieno, in questo periodo ci troviamo nella cosiddetta terza fase del complottismo. Nella prima, durata all’incirca dall’Ottocento fino alla Seconda guerra mondiale, era normale credere in una teoria del complotto perché queste coincidevano con la scienza dell’epoca. 

Dopo gli orrori del conflitto e la Shoah, causata in larga parte proprio da teorie del complotto antisemite, il complottismo (almeno nel mondo occidentale) è entrato in una fase di forte stigmatizzazione. Che tuttavia non è durata tanto: dagli anni Novanta a oggi, complice l’ascesa della destra radicale populista e i cambiamenti intercorsi nella sfera della comunicazione digitale, le teorie del complotto sono progressivamente rientrare dalla porta principale della Storia.

Ora, per l’appunto, ci troviamo in una fase di coabitazione: le teorie del complotto sono simultaneamente rigettate da una parte della popolazione, e accettate dall’altra – inclusi anche leader politici di spicco, tra cui l’ex presidente degli Stati Uniti.

Con ogni probabilità, continueremo a rimanere in questa situazione anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria.

 

Se guardiamo a QAnon, ad alcune pagine Facebook o anche alle persone scese in piazza in questi ultimi due anni la cosa che maggiormente colpisce è l'estrema diversità delle teorie (oltre all'eterogeneità dei complottisti). Cosa li rende così compatti? 

Principalmente quella che la giornalista Anna ha definito la “singolarità complottista”, cioè un processo che era in corso da tempo (ma è letteralmente esploso con l’epidemia di Sars-Cov-2): la formazione di alleanze tra comunità complottiste che prima non si incontravano.

Nel corso di questi ultimi due anni, come sottolinei tu, abbiamo visto una grande eterogeneità nelle piazze di tanti paesi. Seguaci di QAnon si sono mescolati con antivaccinisti, attivisti di estrema destra con militanti anti-5G, libertari con “sciamani” e praticanti di yoga e filosofie New Age, e così via.

Questi gruppi così diversi tra loro si uniti dietro un unico vessillo, quello della contrarietà alle misure di sanità pubblica; al tempo stesso, però, hanno portato avanti la loro specifica agenda. E molto spesso, sono proprio i gruppi politici più estremi ad aver sfruttato questo tipo di mobilitazioni acefale e senza un’organizzazione strutturata.

La “singolarità complottista” va dunque di pari passo con un altro fenomeno – quello delle “mini insurrezioni pandemiche”, che abbiamo potuto toccare con mano in Italia con l’assedio alla sede della Cgil a Roma, e che ha avuto il suo apice con l’assedio al Congresso degli Stati Uniti del 6 gennaio 2021.

 

Quali sono le prime avvisaglie per capire che siamo caduti vittima di una teoria del complotto? Come comportarci invece se a crederci è una persona a noi vicina?

Non c’è una singola avvisaglia, ma ce ne sono molte: si viene risucchiati nella cosiddetta “tana del Bianconiglio” passo dopo passo, goccia dopo goccia.

Sicuramente c’entra molto il modo in cui una persona si informa – quindi se inizia a seguire determinati canali, quello è senza dubbio un campanello d’allarme – ma non solo; contano anche l’orientamento politico, le persone che si frequentano, il gruppo sociale a cui si appartiene, e molto altro ancora.

Una persona che inizia a credere in una teoria del complotto non si fermerà più alla singola teoria: il complottismo, infatti, è un sistema di pensiero chiuso che si autoalimenta e crea continuamente connessioni e riferimenti. Una volta varcata la soglia, insomma, è difficile tornare indietro.

E questo va tenuto a mente soprattutto se il complottista è un nostro parente, un familiare o un amico. Diversi esperti sostengono che un approccio muscolare non funzioni, ma che anzi sia del tutto controproducente: non ci si può limitare a “smontare” una credenza, né tanto meno ricorrere all’insulto o al dileggio

Bisogna anzitutto lavorare sull’empatia, essere disposti ad ascoltare (anche se a volte è incredibilmente difficile), e cercare di incanalare i dubbi della persona a cui teniamo verso bersagli più concreti.

Di sicuro, per usare una metafora molto usata dai complottisti, non esiste una “pillola rossa” da far assumere a qualcuno che è finito dentro il vortice del complottismo.

 

Ci sono dei punti di contatto tra il gentismo e il complottismo?

Assolutamente, tant’è che già nel mio precedente libro La Gente avevo dedicato un intero capitolo al complottismo.

In generale, c’è un rapporto strettissimo tra il populismo (di cui il gentismo è una variante italiana) e il complottismo. Tra le varie cose, entrambi dividono il mondo in maniera binaria, creando una contrapposizione totale – e molto spesso artificiale – tra un “noi” e un “loro”; ed entrambi invocano la nostalgia verso un passato che non è mai esistito veramente.

Tornando all’Italia, non va mai dimenticato che il Movimento 5 Stelle delle origini faceva un ampio ricorso alle teorie del complotto; oltre ad aver eletto deputati apertamente complottisti, aveva arruolato anche dei “professionisti della cospirazione” che ora sono tra le principali fonte di disinformazione sulla pandemia.

Ma non si tratta solo del M5S: Giorgia Meloni e Matteo Salvini, ad esempio, hanno rilanciato più e più volte la teoria del complotto razzista della “sostituzione etnica”. E si può tornare ancora più indietro nel tempo: nel corso dei primi anni Dieci di questo secolo, parlamentari di diversi schieramenti hanno presentato decine di interrogazioni sulle scie chimiche – prendendo ovviamente per buona la teoria.

 

I libri che ti hanno formato.

Per quanto riguarda le teorie del complotto, i libri fondamentali sono soprattutto due: Il pendolo di Foucault di Umberto Eco e Libra di Don DeLillo.

Per lo stile e i riferimenti giornalistici in generale, invece, mi sono sempre rifatto molto alla non-fiction – da Fear and Loathing on the Campaign Trail ’72 di Hunter S. Thompson fino ai reportage di Andrew O’Hagan, passando per Considera l’aragosta di David Foster Wallace e tanti altri ancora.

Anche L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon mi ha influenzato moltissimo, tant’è che il nickname che uso su Internet (blicero) viene proprio da quel libro.

 

Complotti! prima di essere un libro è una newsletter. Chi sono i suoi lettori? Che tipo di scambio hai con chi ti legge?

Direi che è una platea molto variegata: ci sono ovviamente gli appassionati del tema, studenti e studentesse di materie umanistiche (ma non solo), e anche persone che hanno un familiare complottista e che vogliono capirne di più.

Lo scambio con i lettori è abbastanza costante – mi chiedono opinioni, consigli, suggerimenti, oppure segnalano storie da approfondire e offrono vari spunti di riflessione. Cerco sempre di rispondere a tutti sia via mail che sui social.

 

Non cadere nelle maglie del complottismo pur mantenendo uni spirito critico nei confronti delle decisioni prese dai governi. Sembra davvero un equilibrio difficile da mantenere di questi tempi.

È un equilibrio difficilissimo da mantenere. Sia perché il confine tra i complotti reali e le teorie del complotto a volte è molto labile, sia perché quasi sempre il complottismo parte da problemi reali: al loro interno c’è sempre un nucleo di verità.

Tuttavia, una teoria del complotto non arriva mai a una soluzione – è come se fosse una domanda che non ammette una risposta soddisfacente. E infatti, alcune cospirazioni immaginarie vanno avanti da decenni, se non secoli.

Sappiamo invece che, nella realtà, i complotti spesso e volentieri falliscono, producono conseguenze inattese e vengono scoperti tramite la soffiata di un whistleblower, oppure con inchieste giudiziarie e giornalistiche, o ancora con controinchieste dal basso (in Italia abbiamo una nobile tradizione a partire dalla Strage di Stato fino al lavoro del collettivo Pillola Rossa sul G8 di Genova).

Personalmente, è il rigore analitico e la verifica delle fonti a fare sempre la differenza. Le teorie del complotto magari possono anche arrivare a sfiorare il problema, ma alla fine portano sempre fuori strada e non producono alcun cambiamento concreto.  

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