Casa d'altri: Sandro Di Domenico racconta Osvaldo Soriano
Casa d'altri è la rubrica in cui librai e scrittori raccontano un libro.
Prende il nome da una straordinaria raccolta di racconti di Silvio D'Arzo, e ci sembrava il più adatto visto che ci piace parlare di libri, non solo dei nostri.
L'ospite di questa puntata è Sandro Di Domenico, in libreria con Pescirossi e pescicani.
C’è un libro, pubblicato da Rizzoli nel 1988, che ne contiene due, esattamente quelli che, se capitasse, ruberei in casa d’altri. In copertina c’è «Il re della foresta». E non per metafora, ma per titolo. Il titolo del quadro dipinto da un artista che amava le moto e gli animali esotici, riuscito a rimanere tutta la vita bambino. Lo dimostra un breve frammento rubato da una cinepresa in cui seduto al tavolo di un’osteria chiede in maniera infantile un bacio a una donna. Si chiamava Antonio Ligabue, ed è tornato ultimamente di moda. Come se non c’avesse già pensato la storia, l’arte o Cesare Zavattini nel suo straordinario libriccino omonimo: Ligabue. Edito in origine da «Franco Maria Ricci editore di Parma» nel 1978. Ma forse sto divagando.
Quello che volevo dire è che in giorni così tremendi, in cui la vita dopotutto trova il modo di scorrere fino all’anfratto giusto in cui esplodere, la Resa del leone di Osvaldo Soriano, Rizzoli 1988, scritto in preda all'euforia argentina per il Mondiale conquistato facendosi beffe dell'Inghilterra e che consegnò alla leggenda Maradona, il «gol del secolo» + «la Mano de Dios», con il suo bel Ligabue in copertina, è un libro doppio, da tenere sul comodino e sfogliare con gusto.
Basti pensare che tra gli ultimi desideri di un divo come Marcello Mastroianni c’era quello di interpretare il protagonista, l’argentino Faustino Bertoldi, per Fellini al cinema. Non fece in tempo. Scalognato esattamente come questo console per caso, impegnato in una solitaria guerra di principio e d’amore contro l’ambasciata britannica del regno del Bongwutsi, e col re del Bognwutsi stesso, cui scoccerebbe maledettamente mandare le sue truppe fino alle Malvine per sostenere gli inglesi in una guerra ridicola «e Dio solo sa se la mia gente ha mai visto il mare…».
Per Bertoldi, capace di dividere il whisky con un gorilla, per il comandante Michel Quomo, fondatore del primo Stato marxista-leninista dell’Africa, e per il bombarolo irlandese Theodore O’Connel e quanto di vero, verosimile e inventato si mescola nel romanzo di Soriano, esattamente come nelle nostre vite in questi strani giorni, La resa del leone mi pare un manuale di sopravvivenza fondamentale.
E immaginate cosa sarebbe potuto diventare un film con Mastroianni e una sceneggiatura così: «Il tenente Wilson, della guardia britannica, stava ispezionando la zona antiargentina [..] Mentre attraversava il giardino diretto al campo da tennis, notò che la situazione in tribuna era delicata. Attraverso il binocolo riuscì a vedere che il colonnello Yustinov si era calato i pantaloni e mostrava le natiche al resto degli invitati. Gli altri ambasciatori, e con maggior entusiasmo alcune mogli, cercavano di fare centro nel deretano del russo lanciandogli olive, pezzetti di formaggio e tappi di bottiglia. Mister Fitzgerald, seduto in groppa a uno dei camerieri, lottava contro Herr Hoffmann, che cavalcava il Primo Ministro del Bongwutsi. Spostando il binocolo, il capitano riuscì a vedere due donne che si baciavano sulle labbra. Una di queste aveva perso una scarpa e aveva le mutandine arrotolate sopra le ginocchia. Estranei a quanto li circondava, Mister Burnett e il commendator Tacchi continuavano a sparare e a ricaricare le loro pistole mentre Monsieur Daladieu faceva loro gesti ampollosi e gridava in francese».